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Il successo della demagogia ai giorni nostri.


Da quando esistono i cicli politico – economici la demagogia non è una novità, le manovre che vengono attuate dai governi in prossimità delle elezioni sono sempre esistite (come ci insegna Nordhaus), e il voto degli emarginati dei delusi si unisce da sempre a movimenti politici antagonisti; la disperazione degli ultimi è sempre stata una potente leva capace di ingrossare le opposizioni e le mozioni dal basso. Con la rete cambia qualcosa. Umberto Eco ci ha detto che la rete lascia diritto di parola a milioni di imbecilli, allo stesso modo, con la presenza della rete ogni sentimento, anche quelli negativi vengono fuori in ogni “post” facendo diventare l’esclusione e il disagio un soggetto di primo piano. La marginalità e l’esclusione, la frustrazione e l’odio diventano attori politici militanti, ma non si può negare che questo elemento esiste da sempre ed è stato spesso uno spartito vincente anche se non visibile nelle musiche di chi suona all’opposizione.

Ad esempio in Italia il partito Comunista, quello dell’Opposizione al sistema Democristiano non era solo formato da ideali utopici egualitaristi, popolato da persone in lotta col potere costituito. Uniti a questi profili probabilmente dominanti, c’erano anche gli emarginati, gli sfruttati, coloro i quali hanno provato a modificare il sistema, ma hanno deciso, forzatamente o volontariamente, di restarne fuori e combatterlo insieme alle proprie frustrazioni.

Il problema che invece si pone oggi sta nei diversi numeri che registra questo tipo di preferenza di voto, il voto demagogico antisistema prende la maggioranza e conquista il potere di controllo di importanti democrazie, superando la soglia della maggioranza relativa, diventando il “primo partito” dunque, inevitabilmente, la questione sale a galla. E’ evidente che i 19 milioni di voti a Ross Perot nel 1992 non hanno fatto né caldo né freddo ai commentatori internazionali, ma quando Donald Trump “scala in modo ostile” le primarie repubblicane battendo ogni record delle primarie e diventa presidente degli Stati Uniti D’America, il problema si pone in primo piano.

La politica politicante ha sempre considerato questi accadimenti fuori dalla sfera del “possibile”, ipotizzare cioè che Il corpo elettorale abbandonasse per intero o quasi il mainstream del liberismo e della socialdemocrazia per un voto antisistema in aperta opposizione all’estabilishment è sembrato per anni fantascienza. E’ questo il vero elemento di novità, il centro destra e il centro sinistra cedono il passo a determinati fenomeni, che diventano “cases study” internazionali. E’ cambiato l’elettorato? È Colpa dei social media che non filtrano le notizie a sufficienza? E’ una interpretazione moderna e differente della democrazia maggioritaria che accoglie in maniera diversa le istanze dei cittadini deformando l’assetto istituzionale dei Partiti nelle assemblee rappresentative? E in questa nuovo emergente fenomenologia, quanto è probabile il rischio di forme simili al Nazismo o al Fascismo, oramai centenari? Andiamo per gradi, in poche mosse scopriremo chi è l’assassino delle moderne democrazie mondiali.

Pankaj Mishra, in un suo editoriale sul New York Times non ha dubbi, il populismo demagogico antisistema di Trump e Narendra Modi nasce a seguito di una malriuscita ventata di liberismo che ha favorito pochissimi membri di una elite, spianando la strada al leader di estrema destra che ha sfruttato questo malcontento, evidenziandolo sul suo profilo twitter.

L’india con Modi si trova governata da un sovrano di estrema destra che per 10 anni non ha avuto il passaporto x che parte di un partito dichiaratamente fascista.

Ma se il liberismo ha perpetrato danni al sistema sociale, per alcuni autori i danni causati alla società dalle politiche del centro sinistra non sono assolutamente inferiori. Scrive David Graeber nel suo “burocrazia” che le destre hanno avuto sempre un forte sentimento contro la burocrazia e i legacci che procura l’establishment burocratico, mentre la stessa burocrazia è organica al progetto di società caro alla sinistra, che non ha sviluppato sufficienti anticorpi in questo senso, e, quando lo fa, non fa altro che scimmiottare i temi di una destra liberista. Graeber va oltre, arriva a scrivere:”I burocrati incaricati di gestire i programmi sociali formano inevitabilmente dei blocchi di potere assai più influenti dei politici eletti alla guida del Governo” e continua, “Secondo Von Mises (burocrazia, 1944) quel tipo di stato sociale (osservato nel nord Europa) in due generazioni avrebbe portato le democrazie europee al fascismo”.

Oltre al sistema di controllo burocratico opprimente e alle diseguaglianze prodotte dall’algoritmo liberista, c’è chi vede anche delle motivazioni legate naturalmente ai nostri tempi, Zygmunt Bauman, nel suo “Stranieri alle Porte” scrive riferendosi ai giovani americani stabilmente precari “Dalle attuali difficoltà della “classe ansiosa” non deriva una sola, ma diverse opzioni politiche: una di queste confida nella forza di un uomo (ad esempio Orban), l’altra nella forza della gente (ad esempio Occupy Wallstreet o Sanders)." Dunque pare che le cause di questo fenomeno sono diverse, ma diverse e imprevedibili possono essere anche le soluzioni adottate dall’elettorato, che ad esempio in Europa protesta tra Tsipras a Farage, saltando oltre ogni tipo di schema politico.

Certamente in futuro nel nostro paese dovremmo affrontare questi problemi. Il nostro peculiare familismo corporativo ha introdotto un liberismo strisciante nei nuovi contratti di lavoro e nel mondo dell’istruzione, mantenendo comunque una palude burocratica e una istituzione sempre più lontana ai non graditi, a servizio degli eletti e nominati in vari ambiti. L’Economist recentemente scrive che l’Italia, dopo le esperienze di “uomo forte” come Benito Mussolini e Silvio Berlusconi, è un paese “vulnerabile al populismo”.

Difficile provare a prevedere il futuro del Nostro Paese, perché il Destino ha sicuramente più fantasia della nostra immaginazione.

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