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CecoslovItalia

In occasione dell’apertura dell’Osservatorio sul Regionalismo Differenziato dell’Università Federico II,che vede la formazione di un tavolo permanente di professionisti ed esperti di valore, che probabilmente non arriveranno a nessuna conclusione importante, ma che avranno l’occasione di dire per l’ennesima volta la loro sulle questione delle autonomie regionali, vorrei lasciare a voi un messaggio sulla secessione del Sud, che, allegro e compiaciuto, ho denominato “CecoslovItalia”.

La Nazione europea denominata Cecoslovacchia nasce nel ‘900, la sua versione “definitiva” viene modellata dai regimi comunisti che dal 1948 al 1989 la fanno vivere come uno stato unitario. Tuttavia la Nazione è sempre stata composta da due differenti tipologie di popolazione e territori, il primo, con capitale Praga, più modernizzato ed evoluto, il secondo, popolato dagli Slovacchi, con centro principale in Bratislava, dove primeggiava l’economia rurale ed agricola; qualche intervento industriale del regime, ma le differenze tra le due popolazioni della nazione unica nel 1989 erano ancora sensibili. I Cechi, popolo storicamente più ricco e progredito si sentiva schiavo di quella parte del paese rimasta indietro, quando finì il regime comunista, nacquero le due Nazioni separate, un divorzio fortemente voluto dalla Repubblica Ceca, ma tutto sommato accettato di buon grado dalla Slovacchia. Nacque nel 1991 la borsa valori a Bratislava, nuove infrastrutture, progettate per farne una capitale, e le due strade della grande Cecoslovacchia si separarono. Ma la domanda che voi vi starete facendo è: nel frattempo che cosa è accaduto? Se guardiamo lo sviluppo del PIL dal 1990 al 2017, mentre la Repubblica Ceca passa da 40 miliardi a 215 miliardi di PIL, la Slovacchia invece dai 12 miliardi del 1990 ai 95 miliardi del 2017. In pratica il PIL viene prevalentemente prodotto nell’area della Repubblica Ceca, ma mentre il PIL delle Repubblica Ceca quintuplica, quello della “povera” Slovacchia si moltiplica per otto.

All’indomani della separazione, la Repubblica Ceca generava il 76% del Prodotto interno lordo. Oggi, Genera il 69% della somma del PIL dei due Paesi, “lasciando” quasi 10 punti percentuali di PIL alla Slovacchia.

Raccontata questa breve storia, mi permetto di lanciare un messaggio ai miei conterranei preoccupati per le autonomie; mi spaventa davvero l’eccesso di paura e preoccupazione che pervade diverse assemblee.

I contributi a pioggia vanno eliminati, e dove sono stati eliminati la gente vive meglio, il mezzogiorno è un luogo del Mondo che ha vissuto molto con i contributi “a valanga”, ma è considerato uno dei luoghi dove storicamente la “politica del prestito” è andata bene. In altri Paesi del Globo i finanziamenti sono stati una vera e propria iattura per le economie locali. Celebrati come vittoria politica da chi li presta e da chi li riceve, hanno prodotto danni incalcolabili, una burocrazia corrotta, un popolo che non crede nella sua classe dirigente e delle opere inutili infinite. Oramai è sempre più grossa la schiera degli economisti che non crede agli aiuti, se non di piccola entità (microcredito) e mirati ad aiutare la popolazione che lavora. Al posto di recriminare ai tavoli di quanto dovrebbe essere la fetta di torta che, vistata da Bruxelles, proviene da Roma o dalle altre regioni, per poi esser distribuita a Napoli e smistata nei vari capoluoghi e paesini, bisognerebbe parlare di Sud e politiche per il mediterraneo a 360°.

Una grande borsa valori del Mediterraneo, investimenti in una grande università del mezzogiorno che possa interagire con le startup formate dagli alunni stessi. Iniziamo ad inventarci un grande Sud che non sta a vedere quanto sarà la quota di denari proveniente da enti esterni, ma che lavori per il suo futuro senza sensi di colpa, e con un occhio, attento, rivolto alla Cecoslovacchia.

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