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Creare una società dell'apprendimento – J. Stigltz / Bruce c. Greenwald

Questo testo tratta in 360 pagine, di un aspetto tanto fondamentale quanto poco trattato della materia economica, cioè la questione relativa all'apprendimento. Il libro, decisamente impegnativo e per addetti ai lavori, tratta della questione soffermandosi su molti aspetti del problema, considerando l'apprendimento interno nelle aziende e nella società. La discussione va ad evidenziare anche gli studi fatti dagli economisti in precedenza, ad esempio la teoria sull'innovazione di Schumpeter, ma anche Arrow, Solow. Il libro si sofferma sulle questioni relative al processo di apprendimento, a cosa accade quando arriva nel mercato una innovazione tecnologica e come e quanto una innovazione si propaga velocemente nei vari paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, considerando appunto il tasso di velocità della diffusione dell'innovazione stessa, dato fondamentale se si considera lo sviluppo del paese. Al di la di queste informazioni interessanti, sia dal punto di vista accademico che per quanto riguarda il mondo degli operatori economici reali, la parte più interessante del libro a mio avviso è stata il valutare l'intervento pubblico in materia di apprendimento.

Una società aperta all'innovazione che “apprende ad apprendere” crescerà più velocemente di una società chiusa all'innovazione. Stiglitz e Greenwald hanno dimostrato che il mercato non diffonde automaticamente l'innovazione e non si cura di diffonderla creando un ecosistema, un terreno fertile, questo, se si vuole che accada, deve essere oggetto di una campagna pubblica mirata e bene orchestrata, che operi ovviamente insieme alla scuola con l'obiettivo di diffondere le innovazioni. Questa lettura mi ha fatto pensare che, ad esempio in Europa, dove c'è una differente predisposizione all'innovazione tra ognuno dei 28 paesi membri, se non si interviene con una politica unitaria che insegni ai cittadini “l'imparare ad imparare”, le differenze economiche e sociali tra i differenti paesi saranno sempre notevoli e sempre più aumenteranno.

Purtroppo, nella nostra Europa abbiamo università, per motivi storici e sociali, che tengono i corsi in differenti 28 lingue. Già il fatto che dire “buongiorno” sia 28 volte differente, costituisce una difficoltà culturale ed un ostacolo rispetto agli altri paesi/continente competitors. Ovviamente i vari distretti industriali seminati in Europa, anche quelli più innovativi, avranno il problema di avere lingue, usi costumi, modelli culturali, che porteranno ad una diffusione dell'innovazione diversa, distretto per distretto.

Per risolvere questi problemi l'Erasmus è un primo passo, ma non basta, bisogna fare in modo che l'Europa punti a creare un ecosistema per la diffusione della cultura dell'apprendimento, e che sposi all'unisono differenti punti. Il tema, come si è potuto vedere, è più interessante di quanto potrebbe sembrare, è un tema che acquisisce importanza mano mano che l'economia del software sostituisce l'hardware, mano mano che l'immaterialità prende sempre più campo, che le macchine lasciano lo spazio alle app, ai programmi software, alle piattaforme relazionali, alla domotica, agli smartphone. Bisogna soffermarsi sempre più sul tema, anche perché, il tasso di innovazione e la velocità con la quale le innovazioni prendono piede impongono anche agli alti scolarizzati di formarsi per tutto l'arco della loro vita.

Davide Gatto

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