Crush
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Una di queste sere, dovendo prendere il 6 per tornare a casa, mi sono imbattuto in uno di quegli episodi che nessuno mai si potrebbe augurare. Il 6 è andato in panne e una cinquantina di persone per qualche minuto sono rimaste sul lungomare tra Piazza della Concordia e la Carnale, al freddo, e nella impossibilità di prevedere a che ora sarebbe tornato a casa. Il Bus, appena partito da Piazza della Concordia e direttosi verso Mercatello, dopo qualche metro ha iniziato a perdere fiumi di acqua dalla zona del motore, impedendone il raffreddamento. L’autista era imbarazzato, col cellulare parla a voce alta per farsi sentire da chi è più vicino a lui. Poi chiama uno di quelli che stava appollaiato vicino alla portiera davanti a sentirlo e, aprendo la porta, gli chiede di affacciarsi e vedere se esce fumo dalla parte posteriore del mezzo. L’utente, novello riparatore dei pullman, si affaccia e segnala dal marciapiede che esce una copiosa quantità d’acqua. A questo punto l’autista chiama per telefono la centrale pullman e chiede un mezzo sostitutivo. Lo fa ad alta voce, non comunica con l’utenza, noi, quelli che che stavano già collaborando al check meccanico del mezzo, informano il resto dell’utenza che bisogna scendere perché il mezzo è in panne e che bisogna aspettare un mezzo in sostituzione. Dopo due minuti siamo tutti appiedati sul marciapiede, la luce è scarsa e partono le scommesse su quando arriverà il mezzo di sostituzione. Ogni utente appiedato valuta se tornare a Piazza della Concordia, o addirittura a Piazza Vittorio Veneto a prendere una metropolitana (opzione che tutti hanno etichettato con il suffisso “una botta di vita”), invece che attendere il mezzo sostitutivo; qualcuno abbandona, qualche abbonato di lusso preferisce la metropolitana. Forse perché fa freddo, siamo tutti nelle vicinanze del motore del bus, forse per scaldarci, forse per dare un sostegno morale all’autista che aveva somatizzato il volto della sconfitta, quasi come se fosse andato allo stadio. Passano 20 minuti e una ventina di bus, passa la Sita, i vari privati, qualche bus che ferma a via Vinciprova, oggi novello museo a cielo aperto, ma inutile ai bisogni dell’utenza parcheggiata al buio e al freddo delle correnti. Oramai gli utenti erano diventati tutti umanoidi intabarrati in giubbini cappucci cappellini e sciarpe. Una signora sfoggiava un vistoso cappellino rosso, un giovane sfoggiava il piumino con gli occhiali da sole inclusi nel cappuccio, che si chiude a mo di supereroe. Ad un certo punto chiedo allo sconfortato autista: scusi, io devo andare a prendere mia figlia a scuola, ditemi se fate tardi che mi prendo un taxi. L’autista, un po’ agitato, immerso nei suoi problemi di meccanica, mi risponde che il mezzo sostitutivo sarebbe arrivato presto, ma occorreva tempo perché arrivava dalla zona industriale. Al proferir delle parole “Zona Industriale”, gli occhi degli utenti infreddoliti si riempirono di terrore. “Zona Industriale? E se non arriva in tempo? E se nel frattempo si rompe? Se si rompe quello di linea, figuriamoci la riserva…” A me torna in mente un recente romanzo di Pino Imperatore, dove dei terroristi cercano di fare un attentato jhaidista a Napoli, ma l’attentato salta perché i mezzi pubblici non funzionano, anzi, non funzionando nulla, si dimostra che è impossibile realizzare un attentato come si deve a Napoli. Passata oltre mezz’ora, arriva il sostitutivo, e porta tutti quanti a casa. Inutile dire che se ce la fossimo fatta a piedi fino Mercatello, ci si mette di meno, ma vuoi mettere il divertimento di stare insieme?
Davide Gatto