Prelievo e uso del Contante in Italia: la normativa
All’indomani dell’approvazione da parte della Camera dei Deputati del disegno di legge di conversione del D.L. 193/2016, il famoso decreto fiscale, e dell’introduzione dei nuovi limiti quantitativi ai prelievi in contanti, l’opinione pubblica e il popolo del web si sono divisi tra quanti esultavano, confidando nel fatto che la nuova previsione avrebbe tagliato le gambe agli odiosi e perfidi evasori e quanti, nel timore che venissero scoperti i loro piccoli scheletri nell’armadio, urlavano all’abuso di potere.
Ebbene, permettetemi di dire, che siamo tutti fuori strada!
Il nuovo art. 7- quater del D.L. 193/2016, nel testo che dovrà essere sottoposto all’approvazione del Senato, altro non fa che apportare delle modifiche, non ci crederete, addirittura auspicabili, ad una norma che nel nostro ordinamento esiste già dal 1982, ossia l’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. 600/73.
Questa disposizione, nel disciplinare i poteri dell’Agenzia delle Entrate nell’ambito dell’ordinaria attività di accertamento, prevedeva, nell’originaria formulazione, che potessero essere qualificati come ricavi o compensi (tenete a mente queste parole perché saranno fondamentali nel prosieguo) gli importi prelevati dai conti correnti qualora il contribuente non indicasse il beneficiario delle somme.
La norma quindi sembrava avere introdotto una presunzione legale di reddito legata non agli apporti di denaro, relativamente ai quali ben pochi dubbi possono sorgere, bensì ai prelevamenti, chiaro segno di “impoverimento” patrimoniale non certo di maggiore ricchezza!
Però una logica nella legge c’è sempre e questa disposizione non fa eccezione.
Per chiarirla occorre però tornare un momento sulle parole ricavi o compensi che vi avevo detto ci sarebbero tornate utili.
Chi può produrre ricavi? Solo l’imprenditore.
Chi riceve compensi? Solo il lavoratore autonomo, il libero professionista per intenderci.
E’ chiaro, dunque, che la norma, che si applicava solo agli imprenditori e ai lavoratori autonomi, si basava sull’assunto che, qualora l’imprenditore o il lavoratore autonomo effettuasse degli acquisti “in nero” di beni strumentali o di altri beni relativi all’attività svolta (altrimenti perché tacere sul nome del beneficiario?) da questi costi sarebbero conseguiti dei ricavi o compensi anch’essi non dichiarati.
In questa materia nel 2014, con la sentenza n. 228, è intervenuta la Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di redditività dei prelievi in contanti applicata ai lavoratori autonomi.
La Camera, quindi, è intervenuta, anzitutto, eliminando la parola “compensi” dal testo dell’art. 32, comma 1, n. 2 del D.P.R. 600/73, con ciò prevedendo espressamente che la presunzione di redditività non si applica ai lavoratori autonomi ma solo agli imprenditori, e in più prevedendo che l’obbligo di indicazione del beneficiario dei pagamenti sorga qualora l’imprenditore, e solo l’imprenditore, effettui prelevamenti per importi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, a 5.000 euro mensili.
La nuova disposizione pone addirittura un limite all’attività istruttoria dell’Agenzia delle Entrate che, qualora dovesse entrare in vigore la nuova norma, in tanto potrebbe chiedere chiarimenti all’imprenditore circa l’impiego del proprio denaro, in quanto siano superati i limiti quantitativi previsti dalla legge.
E’ chiaro, quindi, che, anche con l’introduzione della nuova disposizione, nulla cambierebbe nelle vite di noi tutti comuni mortali che potremmo continuare a prelevare al bancomat tutto il contante che desideriamo, con l’unico limite, alcune volte, poveri noi, invalidante, di avercelo del denaro da prelevare!
Colgo l’occasione per sgombrare il campo da un ulteriore equivoco.
Una cosa è la “presunzione di redditività” dei prelievi disciplinata dall’ormai noto art. 32, altra cosa è la guerra al contante dichiarata dalle Organizzazioni Internazionali, primo fra tutte l’OCSE, e dai singoli Stati che si concretizza, oltre che negli obblighi di tracciamento delle transazioni imposti soprattutto agli intermediari finanziari, anche nell’imposizione di limiti massimi per i pagamenti in contante.
In Italia, ad oggi, dopo le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2016, non possono essere effettuati pagamenti in contanti per importi superiori ai 3.000 euro.
E questa sì che è una norma che interessa la vita di tutti i giorni!
Ebbene, cari contribuenti fedeli, continuate pure serenamente a prelevare dai vostri conti correnti e libretti postali tutto il denaro di cui avete bisogno perché non siamo noi a doverci preoccupare di essere le vittime innocenti del temibile Fisco accertatore, almeno non per questo.